Dino Campana / Caffè letterario

L’invetriata

La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? – C’è
Nella stanza un odor di putredine: c’è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è
Nel cuore della sera c’è
Sempre una piaga rossa languente.

*

Salgo (nello spazio, fuori del tempo)

L’acqua il vento
La sanità delle prime cose —
Il lavoro umano sull’elemento
Liquido — la natura che conduce
Strati di rocce su strati — il vento
Che scherza nella valle — ed ombra del vento
La nuvola — il lontano ammonimento
Del fiume nella valle —
E la rovina del contrafforte — la frana
La vittoria dell’elemento — il vento
Che scherza nella valle.
Su la lunghissima valle che sale in scale
La casetta di sasso sul faticoso verde:
La bianca immagine dell’elemento.

*

da Genova

Entro una grotta di porcellana
Sorbendo caffè
Guardavo dall’invetriata la folla salire veloce
Tra le venditrici uguali a statue, porgenti
Frutti di mare con rauche grida cadenti
Su la bilancia immota:
Così ti ricordo ancora e ti rivedo imperiale
Su per l’erta tumultuante
Verso la porta disserrata
Contro l’azzurro serale,
Fantastica di trofei
Mitici tra torri nude al sereno,
A te aggrappata d’intorno
La febbre de la vita
Pristina: e per i vichi lubrici di fanali il canto
Instornellato de le prostitute
E dal fondo il vento del mar senza posa.

*

Fantasia su un quadro d’Ardengo Soffici

Faccia, zig zag anatomico che oscura
La passione torva di una vecchia luna
Che guarda sospesa al soffitto
In una taverna café chantant
D’America: la rossa velocità
Di luci funambola che tanga
Spagnola cinerina
Isterica in tango di luci si disfà:
Che guarda nel café chantant
D’America:
Sul piano martellato tre
Fiammelle rosse si sono accese da sé.

*

da Immagini del viaggio e della montagna

…poi che nella sorda lotta notturna
La più potente anima seconda ebbe frante le nostre catene
Noi ci svegliammo piangendo ed era l’azzurro mattino:
Come ombre d’eroi veleggiavano:
De l’alba non ombre nei puri silenzii
De l’alba
Nei puri pensieri
Non ombre
De l’alba non ombre:
Piangendo: giurando noi fede all’azzurro
*
Pare la donna che siede pallida giovine ancora
Sopra dell’erta ultima presso la casa antica:
Avanti a lei incerte si snodano le valli
Verso le solitudini alte de gli orizzonti:
La gentile canuta il cuculo sente a cantare.
E il semplice cuore provato negli anni
A le melodie della terra
Ascolta quieto: le note
Giungon, continue ambigue come in un velo di seta.
Da selve oscure il torrente
Sorte ed in torpidi gorghi la chiostra di rocce
Lambe ed involge aereo cilestrino…
E il cuculo cola più lento due note velate
Nel silenzio azzurrino

*

Giardino autunnale (Firenze)

Al giardino spettrale al lauro muto
De le verdi ghirlande
A la terra autunnale
Un ultimo saluto!
A l’aride pendici
Aspre arrossate nell’estremo sole
Confusa di rumori
Rauchi grida la lontana vita:
Grida al morente sole
Che insanguina le aiole.
S’intende una fanfara
Che straziante sale: il fiume spare
Ne le arene dorate: nel silenzio
Stanno le bianche statue a capo i ponti
Volte: e le cose già non sono più.
E dal fondo silenzio come un coro
Tenero e grandioso
Sorge ed anela in alto al mio balcone:
E in aroma d’alloro,
In aroma d’alloro acre languente,
Tra le statue immortali nel tramonto
Ella m’appar, presente.

(da “Canti Orfici – DIE TRAGÖDIE DES LETZEN GERMANEN IN ITALIEN”, Rubbettino Editore, Messina, 1993)

Dino Campana nasce a Marradi (FI) nel 1885. Fin da giovanissimo è affetto da disturbi nervosi e da un “male oscuro” che si manifesta con un perenne stato di irrequietezza e un continuo bisogno di fuggire. La sua giovinezza si alterna quindi tra vita errabonda e sregolata (anche in paesi stranieri) e ricoveri in manicomio. Queste intemperanze gli creano non pochi problemi, sia nei rapporti familiari che con la giustizia. Forse proprio per lasciarsi alle spalle queste tristi esperienze, Dino decide di soggiornare per qualche anno in Sudamerica, ospite di alcuni parenti emigrati. Tornato in Italia, viene internato per breve tempo in ospedale psichiatrico; ne seguirà un periodo più tranquillo, nel quale inizierà a frequentare i circoli letterari legati all’ateneo bolognese. A questa fase risalgono i suoi primi scritti, molti dei quali confluiranno poi nei celebri Canti Orfici (1914). Stringe legami di amicizia con molti famosi intellettuali del tempo, fra i quali Giovanni Boine, Giuseppe de Robertis, Emilio Cecchi e Sibilla Aleramo (con la quale ha anche un’intensa relazione sentimentale). Muore nel 1932 in un ospedale psichiatrico nei pressi di Scandicci, dove era stato internato per una grave forma di psicosi schizofrenica. La poesia di Dino Campana è fatta di immagini e di suoni, in quanto concepita sostanzialmente come percorso conoscitivo di se stessi e della propria interazione con il mondo (cosa che si attua, appunto, attraverso la memoria e i sensi). Ciò lo porta a mescolare il linguaggio poetico con quello parlato, i suoni della natura con quelli delle attività umane.

Donatella Pezzino

Immagine: Rosolino Canepa, Cascinale lombardo, 2015 (dalla pagina FB dell’autore)

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